Venerdi 24, come ogni venerdì, ero all’università per seguire il tirocinio interno. Mi accorgo ben presto, però, che ero da sola: nessuno si era presentato. Chiedo informazioni ad una ragazza che era lì, anche lei facente parte del mio gruppo e mi informa che il modulo di musicoterapia del gruppo B si teneva il 31 marzo e non il 24. Cosa dovevo fare? Tornare a casa era impossibile e la mia amica non poteva rimanere con me così tanto tempo. Così mi sedetti ai tavolini dell’atrio e aspettai che qualcuno mi venisse a prendere. Ad un tratto sentì una musica: leggera, armoniosa, quasi ammaliante. Mi alzai di scatto e mi diressi verso l’aula da dove proveniva quella melodia. Vi era un uomo, seduto, con uno strumento adagiato su di sé e un archetto tra le mani. Muoveva la testa a suon di musica quasi volesse comunicare al suo pubblico il suo coinvolgimento e il suo essere musicista. La melodia prodotta dal violoncello con un sottofondo quasi reale, con versi di uccelli e il rumore dell’acqua, avevano gettato il mio corpo in una forma di “trance”. Ero in piedi e un brivido dietro la schiena ha scaturito in me una sensazione strana: dapprima un bruciore agli occhi, stavo quasi per piangere, mentre il cuore batteva forte. Il corpo era libero, sciolto, quasi da farmi perdere l’equilibrio. Mi sono seduta e forse quella rilassatezza e quella comodità ha creato lì, davanti ai miei occhi un’immagine, quella di sempre: me stessa, vestita di bianco, che vola tra gli alberi, immersa nel verde accompagnata dal suono di uccelli e dallo svolazzare delle farfalle. Finita la musica, il coinvolgimento fu così intenso, tale da impedirmi di fare un insignificante colpo di tosse. Muoversi è stato quasi impossibile: tutto si era addormentato insieme al mio spirito.
Venerdi 31 era il turno del mio gruppo e non vedere arrivare il prof. Mazzotta, l’uomo del violoncello, sinceramente ci sono rimasta un po’ male, tanta era la voglia di ripetere quella bellissima esperienza, avuta per caso la settimana prima. Il giorno dopo apprendo la notizia che il prof. aveva lezione anche da noi. Non ricordavo come fosse fisicamente ma fu facile riconoscerlo: dal suo strumento e dalla sua voce. Quel sabato non era un giorno dei migliori, avevo continue fitte allo stomaco e la notte non avevo chiuso occhio. Per trovare la concentrazione ci avevo messo un bel po’: non riuscivo neanche a stare seduta! Non appena il prof. ha suonato un brano, nel mio stomaco succedeva qualcosa di strano. Forse anche il mio intestino era incantato da quel dolce suono, tanto da rilassarsi e farmi finalmente tirare un sospiro di sollievo anche se solo per pochi minuti. Tutto taceva, tutto si era fermato: corpo, pensieri, dolori. Questa volta, però, l’immagine fissa davanti ai miei occhi era diversa: era la mia famiglia. La prima figura che mi è apparsa è stata mia sorella, statica come in una fotografia e di seguito i miei genitori. Ma perché? Chissà se ascoltassi il brano di musicoterapia per la terza volta che immagine mi evocherebbe? Sicuramente enigmatica. Esperienza davvero incantevole. Grazie